a-GRit, Home

La montagna come luogo letterario

20 dicembre 2017 Nessun commento

//tratto dal Corriere del Ticino\\
Articolo di Matteo Airaghi apparso sull’edizione del 10 novembre 2017 trascritto e segnalatoci da Franco Ruinelli.

Bisogna viverci per millenni per capire. Bisogna avere impresso nel DNA quel sentimento misto di rispetto, deferenza, timore, ammirazione e sommessa riconoscenza, per trovare un equilibrio accettabile nel rapporto con la montagna. E quel pizzico di fatalistica rassegnazione che nelle interviste a caldo dopo la prima spaventosa frana del Cengalo su Bondo aveva fatto dichiarare ad un anziano contadino, con quel dialetto bregagliotto tanto asciutto quanto meravigliosamente arrotato: «C’è poco da stupirsi, la montagna è sempre stata così e sempre così sarà. Quello che è su prima o poi viene giù. Qualche volta fa disastri e qualche volta non ce ne accorgiamo nemmeno». Un legame forte, a volte aspro, da arginare senza troppo illudersi di controllarlo del tutto, endemico anche nelle vallate ticinesi (quanti “anni della valanga” segnarono per i nostri antenati un “prima” e un “dopo”) e messo bene in evidenza anche da una imminente mostra fotografica (e non solo) all’Archivio Donetta di Corzoneso. Ed è anche per questo che come ha detto un esperto «nonostante tutte le trasformazioni e le storture della modernità che ne hanno fatto, almeno in apparenza, un luogo comodo, accogliente, turistico e patinato, gli svizzeri alla montagna continuano a dare del lei». Una sensibilità prudente e atavica che si traduce qui più che altrove in particolare rispetto, cautela, prevenzione e nella perpetuazione della memoria di ciò che la montagna è stata e di ciò che ha rappresentato, nel bene e nel male, per chi di montagna ha dovuto vivere e per chi con un ambiente tutt’altro che idilliaco e docile ha dovuto convivere per secoli. Un ruolo chiave, quello di conservazione di questa memoria storica che col passare delle generazionie con il definitivo addio agli ultimi testimoni superstiti della civiltà alpina, che rimane ormai soprattutto prerogativa della letteratura. Anche perché in un Paese geograficamente e orograficamente come il nostro non poteva essere altrimenti, visto che le montagne qui più che altrove sono un topos letterario che costituisce di per sé un simbolo senza eguali. Anzi sembra quasi che laddove la letteratura non abbia registrato e rielaborato una circostanza quell’evento sia rimasto inciso meno in profondità nella memoria collettiva. Si spiegherebbe ad esempio così la quasi totale rimozione di una catastrofe che invece sarebbe dovuta balzare immediata alla mente proprio nel caso del disastro della Bregaglia. È strano infatti che in pochissimi abbiano ricordato, in questi mesi di sovraesposizione mediatica, che giusto quattro secoli fa (era il 4settembre 1618) a un tiro di schioppo da Bondo, stesso versante della valle, stessi cieli, medesima geologia, analoghe circostanze, e peraltro allora anche in territorio politicamente grigionese, il Monte Conto franando annientò il ricco e prospero villaggio di Piuro, uccidendo sul colpo almeno 1.200 persone. Un cataclisma epocale dalle molteplici (numero delle vittime a parte, per fortuna) analogie con quanto accaduto in Bondasca che allora fece notizia in tutta Europa, tanto da essere ricordato a distanza di secoli anche dal Muratori o da Immanuel Kant, ma che forse non colpì abbastanza la fantasia degli scrittori visto che oggi sembra essere quasi finito nel dimenticatoio. È dunque forse nella memoria letteraria che rimane davvero vivo il legame ancestrale tra popoli alpini e montagna e qui gli esempi da fare sarebbero centinaia, specialmente per quanto concerne gli aspetti drammatici se non addirittura tragici di quella convivenza precaria, obbligata e spesso spietata. Anzi, senza dilungarci troppo sulla documentata esistenza di una specifica corrente letteraria nota, guarda caso, proprio come Elvetismo che a partire dai letterati inglesi di fine Settecento innamorati delle montagne svizzere finisce, esaltando le Alpi quale elemento e ambiente accomunante delle quattro culture del Paese, fino al Novecento di Ramuz, al suo naturalismo tragico, al mito della montagna e alla capacità dell’alpigiano di adeguarsi e sottomettersi alle preponderanti forze della natura, ecco che qualcuno si è spinto ancora più in là. Peter Utz, per esempio, professore di Letteratura tedesca all’Università di Losanna, ha sostenuto nel suo originale saggio Kultivierung der Katastrophe come le angosce si sono trasformate spesso in un fermento della creatività letteraria e come il fascino per le catastrofi naturali provenga dall’identità alpestre che la Svizzera ha costruito per secoli. La montagna occupa un posto centrale in questo Paese non solo in quanto attrazione turistica, ma anche come minaccia costante ispirando di conseguenza i grandi letterati elvetici degli ultimi duecento anni: da Gotthelf a Dürrenmatt, da Hürlimann a Frisch. Una fascinazione letteraria da cui non si può prescindere anche su questo versante della catena alpina. Riprendere in mano le opere di Plinio Martini o il Libro dell’alpe di Zoppi o ancora L’anno della valanga di Giovanni Orelli non soltanto ci aiuterebbe a capire il rapporto dei nostri antenati con la montagna ma ci ricorderebbe anche qualcosa di noi e della nostra identità.

Commenta questo articolo








+ 1 = due

Notizie in tempo reale

Avvisi

Offera di lavoro

Avviso

Pedagogista curativo.

Medicina del traffico al CSB

CSB

Esami periodici per persone anziane.

Conferenza ed escursione

Migrazione

Sabto 11 e domenica 12 maggio.

Le tue foto

Nosferatu

ragno

Foto di B. Bricalli.

Satira di Bregaglia

La vignetta del giorno

8oym6d

Per sorridere un po’.