I sentieri dell’amore
Una storia a puntate ambientata in Bregaglia. Racconto inedito di Daniele Coretti.
Capitolo 1
Non lo sanno quei sassi stanchi e quei sentieri innevati di quante volte li ho calpestati in quell’inverno del ’96. Passi incerti, talvolta furiosi, infinite impronte di piede che si cancellavano con la successiva nevicata, quasi a voler cancellare ogni traccia del tormento di un’anima inquieta. Irene, quanti passi avrei dovuto fare per lasciarmi alle spalle anche il tuo ricordo? Qui fa freddo, tutto sembra immoto fuori dalla finestra, immortalato nell’immagine di un paesino di montagna a dieci gradi sottozero; buona per una cartolina in tempo di Natale, ma la totale antitesi della tempesta che ho dentro.
Cosa mi è saltato in testa, Irene? Di passare l’inverno qui da solo. Avevo dei bei ricordi di infanzia di qui, c’era la cioccolata calda che faceva mamma e scendevo con lo slittino appena fuori dal paese. Ora non conosco più nessuno. Mi sveglio, con quel maledetto mal di schiena di qualcuno che lavora sempre seduto davanti al computer. Lo avresti mai creduto? Che sarei diventato questo. Un tempo volevo diventare uno scrittore e girare il mondo, invece scrivo e-mail di marketing. Prive di contenuto, di nutrimento per l’anima, solo un mezzo per scucire soldi ai lead, come li chiamano nel gergo del mio lavoro di merda. Scendo le scale e vado in cucina, apro la moka e poi l’anta dell’armadio. Ho finito il caffè. Di malumore mi vesto, indosso pantaloni caldi e il mio giaccone invernale ed esco di casa diretto alla Stüa Granda. La strada per fortuna è stata spalata ed evito con attenzione le lastre di ghiaccio ancora presenti. La sala da pranzo è gremita di gente, con l’apertura delle piste da sci in alta valle, i clienti non mancano di certo. Percorro rapido con lo sguardo la sala in cerca di un tavolo. Finalmente lo vedo, un tavolo da due si è appena liberato. A pochi passi da esso mi fermo, anche un’altra ragazza lo aveva adocchiato. Ci guardiamo per un istante, indecisi sul da farsi.
«C’era prima lei» mi dice scusandosi.
Scuoto il capo. «Sciocchezze, si sieda».
«Se è da solo forse possiamo dividere il tavolo, che gliene pare?»
Frugo il suo viso, ha lineamenti delicati e capelli biondi. Due occhi cerulei mi osservano da sotto la frangia spettinata in attesa di un mio cenno.
«D’accordo». Sediamo, poi la ragazza si tuffa dietro la carta del menu, quasi a volere celare il suo imbarazzo dietro una modesta lista di tipi di tè e caffè.
È arrivata la cameriera. «Cosa ordinate?»
«Un espresso» diciamo quasi all’unisono.
Incrociamo lo sguardo per un istante e ci mettiamo a ridere, da quanto tempo non sento questo suono, Irene. L’idea di un caffè serio, fatto con la macchinetta e con tanto di schiuma, e il calore di una risata, anche se con una totale sconosciuta, sembra sciogliere qualche nodo.
Arrivano i caffè e ne bevo un sorso. «È qui per le piste?» chiedo sentendomi un poco invadente.
«No, niente del genere. Doveva essere una vacanza con mia madre, ma si è presa l’influenza e non se l’è sentita».
«È qui all’avventura, insomma».
«In un certo senso. Ha qualche suggerimento, oltre al fare colazione con uno sconosciuto?» Ride nuovamente.
«Sono Giovanni» dico tendendo la mano sopra il tavolo.
«Nicole» dice stringendola. La sua mano è delicata come il suo viso.
«E lei? Anche lei in vacanza?»
«In un certo senso» dico. «Questo pomeriggio vado a fare una passeggiata, dopo il passo c’è un lago stupendo. Se non lo trova strano, e non ha di meglio da fare, le andrebbe di accompagnarmi?»
Ecco ho fatto la cazzata, penso. Mi dirà di no, probabilmente mi sto coprendo di ridicolo.
«Mi piacerebbe una passeggiata sulla neve. Verrò volentieri» dice invece lasciandomi stupefatto.
All’una di pomeriggio ci troviamo alla fermata dell’autopostale. Nicole indossa una giacca sportiva azzurra e ha calata in testa una cuffia bianca. Saliamo sull’autopostale e sediamo in due sedili adiacenti. Dopo qualche minuto il mezzo di trasporto parte. Alle porte di Stampa passiamo sotto il “Sasc Tacaa”, o come qualcuno lo chiama il “Sasc baciaa”, poiché le due alte rocce che si congiungono sembrano ricordare due persone unite in un eterno bacio. Un poco più avanti, ai piedi del passo del Maloja, i ruderi della chiesa di San Gaudenzio sono per una buona parte ricoperti di neve. La strada per il passo è invece piena di curve e tornanti, ma il paesaggio ripaga appieno della scomodità del viaggio. Giunti in cima al passo scendiamo e siamo avvolti da una coltre bianca a perdita d’occhio.
La guido con passo sicuro verso il lago di Sils e lo troviamo di una fiera bellezza, ghiacciato e spazzato dal vento. Nicole si guarda intorno con meraviglia, mentre dei piccoli fiocchi di neve si sciolgono nel momento stesso in cui toccano il suo viso. Affonda nella neve fino quasi alle ginocchia e questo sembra divertirla da morire. Quasi per osmosi, rido anche io; lei fa una palla e me la lancia, per poi darsi alla fuga. Sembriamo regrediti a due adolescenti, con i nasi arrossati e la neve tra i capelli. Camminiamo verso Isola, dove ci attende una cioccolata bollente. È una curiosa coincidenza, sempre camminando sono avvenuti per me i nuovi inizi. Quasi che fosse quel gesto meccanico di mettere un passo dopo l’altro a trascinare anche la mia mente da un posto, ad un altro. Da una persona a una nuova, da una fine a un nuovo inizio. Mi chiedevo se quello sarebbe stato per me un nuovo inizio.
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