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Pandemia, vattene via!

16 novembre 2020

Capitolo secondo: le istruzioni sono valide. Considerazioni di Silvia Rutigliano sulla covid-19.

Come siamo arrivati alla seconda ondata di contagi? Era inaspettata? Era inevitabile?

La scorsa primavera era stato chiaramente detto che avrebbe potuto arrivare una seconda diffusione del coronavirus, in particolare in autunno. E ciò si è verificato. Ma la previsione non diceva che l’epidemia fosse inevitabile, al contrario: invitava a fare attenzione per prevenirla.

Le istruzioni per impedire la diffusione della malattia sono chiare: lavarsi spesso le mani, evitare le strette di mano, cioè i contatti, stare a distanza di 1-2 metri quando ci si parla, indossare la mascherina se non si può mantenere la distanza, cambiare spesso l’aria nei locali chiusi. Tutto ciò implica che non posso invitare persone a casa mia come se nulla fosse, che non posso mangiare al tavolo con persone che non sono della mia famiglia, che non possiamo fare le prove di coro al chiuso (e nemmeno all’aperto, se siamo gli uni vicino agli altri) eccetera. Insomma, date le istruzioni di base, con il buonsenso è chiaro a tutti cosa si può fare e come si può fare.

Ma per qualcuno ciò era troppo limitante. Così, all’insegna del «io faccio quello che voglio, chi se ne importa» sono continuati gli inviti a casa degli amici, i ritrovi degli adulti ai giardini mentre i bambini giocano, le serate in compagnia nei locali pubblici, e tante altre attività.

Ho sentito più volte dire, quando qualcuno accenna al comportamento che ha causato la seconda ondata di contagi, che dobbiamo guardare avanti. Ma io voglio anche guardare indietro.

Infatti ci sono molte persone, moltissime, che hanno sempre continuato a fare attenzione: si disinfettano le mani all’entrata dei negozi, hanno rinunciato alle feste di compleanno, hanno sospeso le loro attività sociali, e altro ancora, in ottemperanza agli inviti delle autorità. E queste persone hanno effettivamente limitato la diffusione del virus. Ma oggi si trovano anche loro in mezzo alla pandemia, una seconda volta. Ed è a queste persone che adesso le misure restrittive pesano di più, perché loro non hanno mai smesso di attuarle. Invece quelli che si lamentano e che protestano in piazza (senza mascherine) sono quelli che hanno sempre fatto i comodi loro.

Oggi tutta la società paga: pagano i commercianti e i ristoratori, pagano il turismo e lo sport, tutta l’economia è in sofferenza, perché le autorità sono costrette a emanare provvedimenti coercitivi, poiché non possono fare affidamento su una popolazione che si è dimostrata indisciplinata. Mi sento come a scuola, quando tutta la classe veniva punita perché qualcuno l’aveva fatta grossa. Quello del Consiglio federale certo non è un castigo, ma intanto la pena la dobbiamo scontare tutti.

Insomma, se ci fossimo comportati correttamente non saremmo a questo punto e oggi potremmo farci tranquillamente una bella castagnata insieme.

Post scriptum
Queste mie considerazioni vogliono esprimere un disagio che molti vivono, dove alla sofferenza per le misure di protezione (e per la malattia!) si aggiunge l’insofferenza verso chi non le rispetta. Esse esprimono la speranza che tutti facciamo di più per limitare la diffusione del virus, e così evitiamo le misure estreme decise dai governi. È un modo per chiedere con altre parole quello che le autorità chiedono da mesi.

(continua)

Leggi anche: Capitolo primo. «È tutta una montatura!»

Silvia Rutigliano

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