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23 agosto 2017: dieci secondi che cambiano anni

29 gennaio 2018

//tratto da Il Grigione Italiano\\
Una bondarina d’adozione racconta il suo vissuto, dal fatidico giorno dello scoscendimento del Piz Cengalo ad oggi. Pubblichiamo il suo racconto in due puntate. Parte prima.

Il 23 agosto 2017 è un giorno speciale per me e per un intero paese, Bondo! È una data che non possiamo dimenticare: ha cambiato anni di abitudini quotidiane di decine di abitanti della valle. Ha cambiato la vita sociale di un paese, ha stravolto il paesaggio.

Adesso vi racconto come io ho vissuto quel giorno e i giorni successivi.

Svegliandomi al mattino, penso che alle cinque del pomeriggio sarò di nuovo a casa, nel mio appartamentino tranquillo e accogliente, con il sofà scomodissimo, ma fantasticamente mio, con la vista da brivido sul Pizzo Badile. Potrò farmi un bel giro per funghi, anche se quest’anno i tappa grossa scarseggiano. Come al solito quando faccio il turno di notte in Engadina il martedì sera preparo il mio zaino: spazzolino, dentifricio, ma soprattutto il mio piccolo computer e un libro. E questa volta che fortuna averli presi!

Guardo il cielo: azzurro! Faccio un giro a piedi e mi fermo, come faccio sempre, a contemplare il paesaggio, da St. Moritz sono già a Celerina. Nei pressi della chiesa senza tetto, vado a sbirciare nel cortile dove un solitario falegname si diletta a far nascere da un tronco uno stambecco.

È in quell’istante preciso che suona il cellulare. Mariolino, un caro amico bregagliotto, mi telefona da Bondo, da casa sua penso, e lo invidio, per due secondi, pensando che vorrà dirmi che va al Ceresc per funghi! O forse andrà a fare una bella passeggiata «fuori per Bregan» soffermandosi a conversare amabilmente con la Cesarina, o la Carla, o chissà che simpatiche persone può trovare…

Gli rispondo allegra, ma il suo tono è strano! Non ha la solita voce simpatica e divertente, lo sento diverso. Mi dice cose che non avrei mai voluto sentire: «Dal Cengalo cadono sassi… c’è come una nebbia… sai, ci stanno evacuando!». «Evacuando? Ma cosa dici, Mario! Ma scherzi?». E aggiunge: «Ma per cosa ci fanno andare via? Boh, ma sì, tra mezz’ora saremo qui ancora!».

Mi prende l’ansia, sono impotente, lontana, non ho voglia di andare al lavoro, vorrei tornare in Bregaglia. Ma il mio senso del dovere ha il sopravvento.

Tutto è così strano: la nebbia, sassi che cadono, il paese evacuato. È dal 2012 che non sentivo un’angoscia così. Alle 11 comincio il lavoro, ma non posso fare a meno di pensare a Bondo. Là c’è il mio mondo, i miei ricordi, tutto ciò che mi porto dietro da sempre!

Il mio appartamento è a cinque metri dal torrente Bondasca. Già nel 2012 l’esondazione del fiume aveva distrutto la recinzione del giardino e l’acqua era entrata nel mio garage. Dopo quell’episodio era stata studiata la zona, il Cengalo monitorato, l’assemblea comunale deliberato la costruzione di un muro di cemento armato e di un bacino di contenimento. Con questo muraglione ci sentivamo tutti sicuri. Volevo ristrutturare l’appartamento poco alla volta e ogni volta mi chiedevo se era intelligente investire, vista la posizione. Magari avessi dato retta al mio istinto che mi diceva di non fare!

In mattinata telefono a Gaudi, lui lavora per l’ewz e loro forse sono meglio informati. Mi risponde, non ha il solito tono scherzoso, mi dice: «Mah, non è bella».

Vorrei essere là, non riesco a lavorare, non ho la testa! Mi inviano i filmati terrificanti del crollo della massa rocciosa dal Cengalo, della frana che porta via il ponte, una casetta e una stalla. Stavolta fa sul serio…

Possiamo solo pregare.

E dove sarà nonna Mida, che abita al piano terra? Telefono a una delle mie figlie, Adelaide. Non voglio agitarla, è al settimo mese di gravidanza. Le spiego che hanno evacuato il paese, non si sa niente. Mia figlia diventa matta, telefona alla Polizia, le risponde la centrale di Coira, in tedesco s’intendono a fatica, le dicono che la nonna è a Spino, all’Altersheim. Si organizzano per venire a prendere la nonna.

Sono ormai le tre del pomeriggio e io sono esaurita. Da Bondo mi convincono a rimanere in Engadina: la strada è bloccata. La muraglia in cemento armato costruita nel 2015 ha tenuto, la nostra casa è salva. Devo organizzare dove dormire: telefono a Beatrice, bondarina «doc» che vive a St. Moritz, le chiedo se mi ospita per la notte. Certo che mi ospita, mi dice che lei torna alle 17 dal lavoro.

Io rimango in un parcheggio a Champfèr per un’ora e piango, non riesco a trattenere le lacrime, piango e piango… Penso a cosa succederà adesso. Per quanto terrà la muraglia? In questa situazione ci si rende conto di ciò che rischiamo di perdere. L’ora passata in macchina è interminabile, dal paese arrivano notizie frammentarie, bisogna solo aspettare, con calma, la calma che non ho…

Quando arrivo da Bea e Livio sono stravolta. Bea mi dà un pigiama e mi fanno sentire a mio agio. Del resto tutto il paese è nella mia situazione, e tutti sono trepidanti. A cena abbiamo lo sguardo fisso sul televisore, impossibile farne a meno, l’attesa di nuove notizie è terribile, il tempo non passa mai. Quando si dice «il tempo è tiranno»… adesso capisco!

La televisione manda in onda una lugubre Bregaglia, con il quartiere generale di tutte le televisioni, giornalisti e protezione civile all’Hotel Bregaglia.

Sono dipendente dal mio cellulare, controllo ogni secondo le notizie della RSI. La notte, la mia prima notte da clochard, non chiudo occhio, non riesco a dormire, sono nervosissima, è stata una giornata molto pesante. Da spettatore è veramente inimmaginabile lo stress accumulato.

Paola Tagliabue


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