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QUO VADIS CIÄSA GRANDA?

28 aprile 2022

//riceviamo e pubblichiamo\\
Un contributo di Renato Maurizio, Maloja.


La Ciäsa Granda ha da sempre rappresentato un centro per la vita sociale e culturale della val Bregaglia.

Nel corso del tempo l’edificio fu convertito in un polo museale vero e proprio, ospitando collezioni etnografiche locali di tipo artigianale, domestico, agricolo, geologico e faunistico. A partire dagli anni Ottanta del ‘900, l’arte figurativa rivestì un ruolo sempre più significativo all’interno dello spazio museale, grazie al contributo delle numerose donazioni di opere d’arte – tra le quali spiccavano quelle dei Giacometti e, poco più tardi, di Varlin.

In seguito alla morte di Remo Maurizio e agli scenari sorti con il concorso di Ciäsa Granda, sento il dovere di ridar voce al suo pensiero sull’esposizione dell’arte figurativa e dell’architettura dell’edificio.

Mi permetto d’intervenire, anche perché a partire proprio dagli anni ‘80 del ‘900 ebbi modo di collaborare alla realizzazione di importanti interventi architettonici riguardanti l’edificio, esperienza maturata con l’occhio critico di Edy Giovanoli, a quel tempo falegname della Ciäsa, e della sig.ra Dina, moglie di Remo.

Il principio museografico su cui si basò Remo fu l’esposizione dell’Habitat all’interno del ciclo naturale, dando importanza allo sfondo dell’opera. Tale concetto ha reso Ciäsa Granda un “Unicum” della tipologia museale su scala regionale, il cui valore è esaltato sia dal contenuto sia dalla disposizione delle opere.

Mi duole constatare che la nuova direzione vuole trasfigurare il concetto museale originario proponendo nuovi riposizionamenti sulla scena.

La domanda ad oggi nasce spontanea: quali riposizionamenti? L’idea di Remo dovrebbe rimanere valida, perché ancora attuale; anzi, bisognerebbe rafforzarne il concetto mediante una gestione sapiente attraverso degli interventi di manutenzione di cui ad oggi necessita la Ciäsa.

A partire da questa ricerca rapida di riposizionamento, la Società Culturale ha promosso un concorso ad invito per studi di architettura, stanziando un credito di CHF 50.000,00. Inoltre, è stata nominata una giuria di Esperti in materia, che ha elaborato il programma del concorso sulla base di uno studio di fattibilità che consentiva esclusivamente l’ampliamento interrato della parte posteriore della sala Giacometti/Varlin.

Innanzitutto, va sottolineato che la scelta della procedura di aggiudicazione ad inviti operata dal committente, con la quale si stabilisce quali progettisti sono invitati a presentare un progetto, contrasta con i principi della Legge Cantonale sugli Appalti Pubblici (art. 13 e 14). Inoltre sono stati scelti studi di architettura al di fuori della Regione, dei cinque studi invitati due hanno la sede nel cantone Ticino. È stata esclusa, dunque, l’intera area engadinese, geograficamente e culturalmente di certo più affine alla Val Bregaglia.

Un’altra questione sulla quale non si può sorvolare è la disposizione spaziale del progetto vincitore. La giuria ha infatti scelto una proposta che non rispetta un punto fondamentale dato dal programma, ovvero il posizionamento dell’ampliamento.

Tale scelta non solo contravviene alla norma SIA 143 (agli atti del concorso) ma si rivela come una mancanza di riguardo verso gli altri studi invitati che invece hanno proposto soluzioni che rispettano il programma.

A mio parere, sarebbe stato necessario fare un passo indietro, e riflettere più attentamente sul come e dove posizionare un edificio pubblico che ricopre un ruolo delicato nel settore museale d’arte figurativa.

Un altro fattore da considerare è che Ciäsa Granda rimane aperta al pubblico per un tempo limitato, solo sei mesi l’anno. Intendo affermare che la Ciäsa Granda non potrà mai soddisfare in modo esaustivo le esigenze artistiche, di sicurezza, di gestione ed ambientali delle attività di esposizione.

A tal proposito vi lascio alcuni spunti di riflessione.

Dagli anni ‘80, con la realizzazione della sala Giacometti – all’indomani della donazione dell’opera intitolata “Gente del mio Paese” di Varlin, emerse chiaramente la problematica di garantire un’adeguata esposizione di opere e artisti diversi. Infatti, per non generare squilibri, si voleva evitare di esporre insieme opere di peso artistico diverso.

L’intenzione di ampliamento degli spazi richiesta dal bando, seppur condivisibile, non trova risposta adeguata. Se esaminiamo l’effettiva richiesta di superficie espositiva in relazione all’importanza delle opere esposte, gli spazi risultano limitati. Le opere esposte non vengono valorizzate perché non trovano la loro collocazione ideale in relazione alla loro importanza. La problematica aumenta dal momento in cui si manifesta l’ulteriore necessità, prevista dal programma, di utilizzare le aree anche per mostre d’arte temporanee a livello regionale. Tale duplice necessità rende oltremodo inadeguata la soluzione prevista, umiliando la dignità delle opere di livello internazionale di cui il museo ha il pregio di ospitare.

Già due anni fa, ho sottolineato che le opere dei Giacometti erano collocate nel posto sbagliato. Nessuno si sarebbe mai aspettato che la Ciäsa Granda avrebbe ospitato in modo permanente opere d’arte figurativa di tale levatura.

Emerge chiaramente l’esigenza di scindere tre diverse tipologie di esposizione. Da una parte l’esposizione permanente dei Giacometti e di Varlin, da un’altra quella permanente e temporanea di artisti importanti e da un’altra ancora quelle temporanee di artisti/artigiani regionali.
L’idea di creare il Centro Giacometti presso la scuola “Samarovan” a Stampa continua ad essere una opzione valida.

Aggiungo inoltre che un’alternativa non meno interessante sarebbe quella di dare una nuova identità alla Chiesa di San Giorgio a Borgonovo. La Chiesa di San Giorgio, convertita a sala espositiva per le opere dei Giacometti, avrebbe anche un significato evocativo e simbolico in quanto le spoglie di Augusto, Alberto, Giovanni e Diego Giacometti si trovano nel cimitero attiguo e una pittura di Augusto si trova all’interno della Chiesa. Delocalizzare le opere dei Giacometti nella Chiesa di San Giorgio porterebbe ad un duplice effetto positivo: dare adeguata dignità internazionale alle opere dei Giacometti e conferire a Ciäsa Granda il ruolo di centro culturale e museale regionale, come del resto fu concepita in origine.

L’appello, dunque, si rivolge soprattutto all’amministrazione pubblica, che sarà sicuramente coinvolta a partecipare in gran parte al finanziamento dell’opera, infrastruttura e gestione.

In merito alle critiche rivolte al progetto scelto dalla Giuria e raccomandato al committente, rimandiamo gli approfondimenti ad un prossimo appuntamento. A partire dai rapporti tra:
- vecchio e nuovo,
- integrazione e contrasto,
- conservazione e innovazione,
sono questi alcuni dei temi che vale assolutamente la pena approfondire per trovare un approccio alla questione progettuale più consapevole

Renato Maurizio, Maloja

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