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Calendimarzo

1 marzo 2016 Nessun commento

Chi sente il termine «Calendimarzo» pensa immediatamente alla fiaba «Una campana per Ursli» scritta da Selina Chönz e illustrata da Alois Carigiet. Ma non solo a Guarda – dove essa è ambientata – o in Engadina si festeggia il Calendimarzo, no, lo si celebra anche nelle valli di lingua italiana.

La festa affonda le sue radici nel paganesimo e celebra il cambio delle stagioni – il passaggio dall’inverno alla primavera. L’inverno era duro e metteva paura, specialmente alle persone che dovevano pensare a nutrire una famiglia numerosa. Nel passato tutti erano contadini e vivevano di quello che producevano a stretto contatto con la natura: il latte, il burro, il formaggio e la carne delle loro mucche, capre o pecore. Verso la fine di febbraio il fieno per nutrire gli animali incominciava a scarseggiare e bisognava scacciare gli spiriti cattivi che portavano il freddo, l’oscurità e le giornate corte, affinché l’erba per il bestiame e tanti prodotti freschi del giardino potessero ricrescere. In Bregaglia fino negli anni Quaranta solo i ragazzi – vestiti da soldati – potevano girare per il paese, per cantare sulle piazze e raccogliere del denaro che spendevano comperando un focaccino o qualcosa da bere.

Durante la seconda guerra mondiale gli insegnanti e i pastori protestanti trasformarono il «battaglione militare» in un corteo che rappresentava la salita sull’alpe con il bestiame. I ragazzi iniziarono così a fare il giro del paese trascinando su un carretto il paiolo della polenta e la zangola per fare il burro. Si iniziò a suonare il corno del capraio e pure il tamburo. Il ragazzo più anziano era il capo d’alpe che comandava sugli altri; i piccoli rappresentavano le mucche e il bestiame minuto.

Grazie a questo cambiamento pian pianino anche le ragazze poterono aggregarsi ai loro fratelli e partecipare attivamente alla festa. Da circa trent’anni in tutta la valle scolari e scolare partecipano alla festa a pari diritti. Dopo aver girato ornati di fiori di carta per i villaggi e le frazioni, dopo aver fatto risuonare i loro campanacci per scacciare la «brutta stagione» e risvegliare l’erba dal sonno invernale, si riuniscono nella sala multiuso a Vicosoprano e mangiano in compagnia le castagne con la pancetta o con la panna montata.

I bambini dell’asilo fanno un giro più breve e raggiungono poi i «grandi» sulla Piazza per cantare a loro volta alcune canzoni che parlano della «bella stagione». Più tardi si recano nella sede della scuola infantile per gustare la meritata merenda. La sera alcune classi inscenano dei teatrini più o meno umoristici per farci divertire o per indurci a riflettere su problematiche attuali quali l’inquinamento, lo stress o la nostra perenne ricerca del tempo perduto. I soldi raccolti serviranno per finanziare il viaggio scolastico.

Ormai i contadini sono pochi e noi che facciamo altri lavori potremmo illuderci di non dipendere più dalle stagioni, ma questa è un’utopia. Coltiviamo perciò le nostre tradizioni, restando attaccati alle nostre radici e alla natura, festeggiando con gioia la festa che segna il suo risveglio!

Renata Giovanoli-Semadeni

Da: Die Südostschweiz, 5 marzo 2013

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