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23 agosto 2017: dieci secondi che cambiano anni

5 febbraio 2018 Nessun commento

//tratto da Il Grigione Italiano\\
Una bondarina d’adozione racconta il suo vissuto, dal fatidico giorno dello scoscendimento del Piz Cengalo ad oggi. Pubblichiamo il suo racconto in due puntate. Parte seconda.

(La prima parte si trova qui.)

Il mattino del 24 agosto, giovedì, mi sveglio, e il primo pensiero è ritornare a casa. Mi telefonano da Bondo per dirmi che nel pomeriggio ci sarà una riunione per la popolazione, e informazioni sul nostro prossimo futuro. Saranno presenti la sindaca di Bregaglia, la Polizia e la Protezione civile. L’orario della riunione è improponibile per chi lavora: faccio i salti mortali per arrivare. E quando arrivo scopro che è una riunione riservata ai media. Ma a quel punto me ne frego, con tutta la fatica che ho fatto. Attendo con ansia il mio turno per avere risposte alle mie domande. Ma nel profondo del mio cuore so già le risposte. La situazione è molto seria. Mi sento smarrita. Ho perso il mio riferimento, il mio nido. Anni per trasformarlo a mia immagine, avere il piacere di rientrare dopo il lavoro e trovare un ambiente giovane e caldo, ed ora è una delle zone più a rischio del paese. Mi preparo a passare la seconda notte fuori. Sempre peggio, non chiudo occhio, sono uno straccio.

Il mattino presto mi telefonano dal paese, mi dicono di tornare in valle: forse chi possiede un’abitazione a rischio avrà la possibilità di entrarci velocemente per recuperare qualche oggetto. Alle 9 in punto sono presso l’Hotel Bregaglia. Sono angosciata, parlo con gli altri, vedo il mio appartamento dalla sponda opposta, sembra integro, malgrado il fango arrivi al terrazzo. La ragazza dell’albergo mi offre dei sacchi neri per ciò che riuscirò a portare via da casa. Ute mi presta un paio di stivali di gomma per il fango e Patrizia mi offre un caffè nel suo rustico. Che gioia bere un caffè in una casa, ora che vivo come un rifugiato!

Nel contempo i giornalisti ci fanno domande, vorrebbero portare testimonianze di cosa si provi ad essere sospesi nel nulla. Mi vengono in mente i terremotati.

Verso mezzogiorno mi dicono di incolonnare la macchina sulla strada cantonale vicino al crotto Semadeni. Fortunatamente sono la prima ad essere chiamata. Mi fanno accompagnare da due ragazzi della Protezione civile, che parlano solo tedesco, ma va bene tutto. In quel momento non capirei neanche se mi parlassero l’italiano.

Quando entriamo in Bondo mi luccicano gli occhi, lasciamo la macchina lontano e avanziamo a piedi. I ragazzi mi precedono e mi fanno segno di camminare sul fango, secco come cemento, calcando le loro impronte. Non riesco ad entrare dalla porta, quindi scavalchiamo il terrazzo. Che bella sensazione essere lì! Vorrei non andarmene più. Farmi un caffè, mettere un po’ di musica e sedermi sul terrazzo a guardare il Pizzo Badile.

Peccato che l’incanto finisca. La Protezione civile mi riporta presto alla realtà: abbiamo solo dieci minuti per raccogliere le cose e andare via. Con queste parole sono ko, non so da che parte iniziare, apro i cassetti dove ho i documenti, prendo passaporto e tessera elettorale e poi passo da un locale all’altro. Ma cosa prendo? Alla fine prendo magliette e costume, che idiozia, fra due mesi qui si gela. Cerco qualche ricordo, porterei via tutto, ma è scaduto il tempo!

Dopo due ore scenderà la colata di fango che sfonderà il pavimento della mia camera. Fortunatamente ero a Chiavenna, a recuperare la macchina. Mi telefonano. La falegnameria non esiste più, le case intorno sono devastate, mi inviano una foto con il mio appartamento sepolto. Le strade sono chiuse.

Da mercoledì 23 agosto non c’è pace per la valle. Gli abitanti evacuati si stringono tutti gli uni agli altri. Io ho bisogno della mia famiglia. La seconda colata di fango ha tolto la speranza a chi immaginava di rientrare in paese in pochi giorni. Devo trovare anch’io un alloggio.

Poco dopo sono con le mie figlie, racconto i fatti, le parole mi escono come un fiume in piena. Clelia e Igor decidono di venire in Bregaglia la domenica successiva, lo trovo giusto. Le mie figlie hanno passato l’infanzia a Bondo, da quando sono nate fino alla maturità.

La casa è stata costruita nel 1981. Il primo gennaio 1982 ero stata per la prima volta a Bondo, avevo visitato l’appartamento, visto il paese, bevuto un’Ovomaltina da Dino Salis al Palaz. Da quel giorno sono passati 35 anni, il tempo di comprendere il dialetto bregagliotto, i posti dei funghi, le ricette delle marmellate, i mirtilli, l’erba iva. Quante volte d’estate quando pioveva giocavamo a carte, o visitavamo il Castelmur o la Ciäsa Granda. Ci si trovava in famiglia, si andava al crotto per il 1° agosto, il falò e poi le lunghe passeggiate, al Ceresc, la Capanna Sciora, Sasc Füra, Soglio e i suoi monti, la Panoramica, che paradiso… Che ricordi, una vita! L’emozione più forte era, prima della costruzione della strada cantonale, vedere i caprioli arrivare vicino alla casa, bagnarsi nelle acque della Bondasca, nelle pozze, dove era più calda. Andare in Caltüra al tramonto, e sentire una grandissima pace.

Dal 2012 il paesaggio è cambiato: l’estate con i temporali, i sassi che rotolano nel fiume, l’odore del fango, il rumore dell’acqua marrone che scorre, sfonda la nostra recinzione, l’attesa fuori dal Comune fino alle 3 del mattino, evacuati due notti, il muraglione di cemento, il bacino.

In giardino avevamo un bellissimo orto, per nonna Mida era una passione, strappava le erbacce, puliva come una forsennata, quando era stanca si riposava all’ombra del noce. Dopo il 2012 l’acqua ha portato via l’orto e la terra era mista a sabbia. Mida non ha più fatto l’orto, e sotto il noce parcheggiavo l’auto. La vita era cambiata, e ora di più.

Quando passo sulla cantonale, nei pressi di Bondo, non posso non guardare le case, scheletri che attendono la demolizione. La natura ha fatto il suo corso, possiamo solo accettare e farcene una ragione. Il tempo e i lavori di sistemazione faranno il resto. Io devo ritrovare al più presto le mie abitudini, andare a bere l’aperitivo, le passeggiate… e ci sto provando. In questi mesi ho fatto passi da gigante. A novembre ho avuto un flash vedendo sul mio terrazzo la mia pianta di limone, mi ha fatto pena, sembrava un’orfana. Era praticamente secco, ma ecco dopo un mese spuntano due foglioline, emozione! Occupa il posto più luminoso nel mio monolocale in affitto. Sarà il primo limone di Stampa?

Sono passati ormai cinque mesi e io da questa nuova situazione ho imparato parecchio: mai fare programmi a lungo termine e fare buon uso di tutto ciò che si possiede, il vestito bello va usato tutti i giorni. Se penso che avrei picchiato chi osava sporcare le mie sedie del soggiorno, e poi sono finite nel fango! Per me ogni giorno deve essere vissuto come se fosse l’ultimo. Per quanto riguarda il mio rapporto con la casa, Heim per dirla alla tedesca, non sono ancora pronta per una nuova. Quello avuto fino al 23 agosto è stato un amore travolgente finito in tragedia e sono ancora in lutto. Devo aspettare di innamorarmi ancora e di sentire nuovamente la passione che mi aveva fatto amare così tanto prima.

Paola Tagliabue


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