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Aspettando un secondo Rinascimento

4 dicembre 2017 Nessun commento

La settimana scorsa abbiamo scritto che Elena Giacometti ha ricevuto una menzione speciale al concorso del Forum per l’italiano in Svizzera. Oggi pubblichiamo il suo testo.




Aspettando un secondo Rinascimento

Capita, a volte, quando si compila un formulario, di dover indicare la propria lingua con una semplice crocetta. Questo succede quando richiediamo una carta di credito, quando ci abboniamo a una rivista o quando dobbiamo annunciarci a qualche corso.

Questi per me sono attimi di riflessione. Sono abituata a considerare l’italiano come la mia lingua madre, quando in realtà è il dialetto locale che mi ha vista nascere e crescere.

Ricordo ancora la mia prima giornata di asilo. Non mi esprimevo ancora in italiano, ma credo di averlo imparato in un baleno, ascoltando, confrontando, tentando di formulare qualche bizzarra frase, sotto lo sguardo vigile della maestra di nazionalità italiana. Senza dubbio le capitava di dover trattenere a stento qualche risata, mentre ascoltava questi maldestri bambini pseudo-montanari destreggiarsi tra le varie lingue e i diversi idiomi che echeggiavano tra le quattro pareti della scuola dell’infanzia. Eravamo in pochi, ma tanto diversi! Alcuni di noi nascevano con l’italiano in tavola, altri con il dialetto stretto di uno dei vari paeselli della valle, altri crescevano a suon di svizzero tedesco. In comune avevamo una cosa, l’italiano. Una lingua che, perlomeno durante le ore di asilo, ci rendeva tutti uguali. Allora percepivamo chiaramente l’autorità di questo italiano: aveva gli stessi tratti decisi e austeri di Dante Alighieri. Andava imparato, andava coltivato, sembrava una cosa di vitale importanza. Ricordo da bambina i numerosi libri letti e riletti che mi hanno consentito di migliorare questa mia «seconda lingua», smussando i miei tratti linguistici più rudi, eliminando la mia «r» moscia, facendo nascere in me la passione per questa lingua e la consapevolezza di avere due identità ben distinte: quella dialettale e quella italiana. Entrambe diverse, entrambe importanti.

Con il tempo, dopo aver consolidato la mia conoscenza della lingua e cultura italiana, un ulteriore elemento linguistico è entrato a far parte del mio quotidiano. Tedesco temuto, talvolta odiato, aveva il volto di Hitler con il braccio destro teso a 45 gradi. Una lingua che «va imparata se vuoi guadagnarti la pagnotta» minaccia travestita da frase motivazionale che alle elementari continuava a ronzarci nelle orecchie. Con il tempo imparai che non erano né la scuola elementare né la scuola secondaria il nostro vero e proprio «campo di concentramento» bensì il mondo esterno, la Svizzera. In un contesto politico, sociale, culturale ed economico che all’italiano sa attribuire soltanto i termini comuni «mafia», «pizza», «spaghetti», «Berlusconi», «bunga bunga» – al limite Ticino, «die Sonnenstube», giammai Grigioni italiano – è difficile riuscire ad esprimere la propria italianità. L’italianità diventa un asso nella manica, da nascondere ed estrarre solo nei momenti più opportuni. Nel frattempo ti senti di nuovo il maldestro bambino dell’asilo che tenta di mettere insieme qualche frase stonata. Tu però non sei più un bambino dell’asilo, sei solo costretto ad apparire come tale, esprimendoti goffamente in questa difficile lingua chiamata tedesco, ben lontana dagli schemi latini radicati nel tuo codice genetico. L’apprendimento intensivo del Deutsch e dello Schwiitzerdütsch – lingua alfa della Svizzera – al quale si affiancavano oltretutto l’inglese e il francese, sembrava a tutti gli effetti una corsa contro il tempo. Più in fretta e meglio lo imparavi, più ti ritrovavi in grado di acquisire buoni voti e superare gli esami per ottenere il tanto agognato diploma professionale. Che fatica, che pena, ma il sapore della vittoria dopo la conquista della vetta è un evento che per un italofono vale il doppio, il triplo, il quadruplo. Ed è proprio questa consapevolezza la chiave per resistere e superare le inevitabili difficoltà poste lungo il cammino di un non-tedescofono. D’altro canto c’è chi non è in grado di comprendere queste difficoltà, chi dall’alto della propria lingua autoritaria vede ogni segnale di contrasto come un insignificante, petulante lamento. La propria posizione avvantaggiata di certo non lo stimola a scendere di qualche gradino per imparare «la lingua del debole», ma al contrario, gli dà il potere dell’indifferenza, del non sforzo, della chiusura in quel che reputa il giusto, l’unico, l’indispensabile. Tutto il resto è noia. Ma torniamo al famoso asso nella manica. Chi sa italiano è avvantaggiato, chi sa dialetto è avvantaggiato, chi sa francese è avvantaggiato, chi sa romancio è avvantaggiato, chi sa inglese è avvantaggiato. Quando qualcuno dall’alto della propria superbia scopre che le lingue altrui non sono soltanto la confusione di Babele ma anche un arricchimento, apriti cielo!

Ma in una società in cui sono i più forti a regnare e solo il lavoro redditizio ad essere applicato, è possibile far strada alla consapevolezza di questa enorme opportunità – non in termini di denaro – che si chiama plurilinguismo?

Siamo alle porte di grandi cambiamenti. L’inglese, un’arma di conversione alla globalizzazione pari al cristianesimo missionario, forse un giorno perderà la sua forza, restituendo sovranità ai singoli stati, alle singole regioni, ai singoli cittadini, alle singole lingue e alle singole culture. Le dispute gregarie tra le varie etnie e le numerosissime lingue sparse nel mondo, rispecchiano un fenomeno detto globalizzazione dichiarato ormai decadente. Se il conservativismo, il nazionalismo, il protezionismo, la chiusura delle frontiere e dei mercati sono la naturale reazione a questa decadenza – segnata da fenomeni come Brexit e Trump – forse lo sarà anche una sorta di introspezione, la ricerca di nuovi equilibri, la riscoperta dell’importanza della nostra unicità, della nostra identità, delle nostre peculiarità, della nostra bistrattata madrelingua e dei buoni rapporti con il vicinato.

Per far sì che l’italianità in Svizzera, in Europa e nel mondo possa acquisire di nuovo il suo potere e il suo prestigio, è necessaria però una presa di coscienza a partire dalla madre patria, divenuta da decenni ormai l’ombra di se stessa. Quella che un tempo era una penisola all’avanguardia, il fulcro dell’Impero Romano, la sede dell’onnipotente Chiesa cattolica, un punto d’incontro di numerose civiltà del Mediterraneo, la culla di numerosi movimenti artistici, storici, socioculturali e scientifici, oggi sembra diventata una sorta di fanalino di coda dell’Europa, governata da una classe politica incapace, da una rete finanziaria sempre più parassitaria, da una catena imprenditoriale incline all’assistenzialismo di Stato e perversata da un generale decadimento culturale e morale della popolazione. Incredibile se pensiamo che quella di cui stiamo parlando è la stessa patria che ha prodotto personaggi importanti a livello planetario come Da Vinci, i De Medici, Dante, Brunelleschi, Botticelli, Caravaggio, Galilei, Colombo, Manzoni, Leopardi, Eco, Camilleri, Fellini, Rossini, Puccini, Verdi, Vivaldi… La stessa patria che oggi nutre i suoi figli con programmi trash e volgari come Il Grande Fratello, l’Isola dei Famosi, cinepanettoni vari, farfalline al vento e compagnia bella. L’italiano era una lingua di grandissima cultura e bellezza, influenzò parecchio lo sviluppo di lingue come l’inglese e la formazione letteraria nelle corti aristocratiche europee. Seppur l’italiano rimanga una delle lingue più studiate al mondo – grazie al suo fascino indiscutibile ma anche alla diffusione a livello mondiale di vari ceppi di discendenti di emigrati italiani – è necessario che la reputazione dell’Italia possa riprendere in mano le sue redini e riacquisire pian piano il suo leggendario prestigio. Se vogliamo di nuovo parlare di programmi televisivi, è il caso di segnalare il boom di ascolti ottenuto il 28.12.2016 in prima serata dalla trasmissione condotta da Alberto Angela Stanotte a S. Pietro, una passeggiata notturna attraverso la Cupola di Michelangelo, i Giardini Vaticani, la cappella Sistina e altri tesori artistici e architettonici del Vaticano. Il programma divulgativo ha tenuto incollati allo schermo quasi 6 milioni di telespettatori che corrispondono al 75% degli abitanti della Svizzera, registrando un indice di ascolto pari al 25,4%. I programmi culturali di Alberto Angela trasmessi alla Rai stanno vivendo in generale un successo in costante crescita. Sintomo forse di un pubblico sempre più affamato di cultura e sapere?

Forse sull’onda di questo ipotetico segnale di ribellione alla tv spazzatura, possiamo ipotizzare una lenta ma costante presa di coscienza. Nella migliore delle ipotesi una rivoluzione intellettuale che potrebbe scatenare in Italia una sorta di secondo Rinascimento, che risorgerà dalle macerie di catastrofi come i terremoti del centro Italia, che stanno scuotendo e risvegliando il popolo italiano da un profondo torpore. Questo perlomeno è il mio fantasioso augurio per il futuro dell’Italia e della sua affascinante, raffinata, seducente, musicale e appassionante lingua che va ben al di là di concetti e cliché sconclusionati come «mafia», «pizza», «spaghetti» e «Berlusconi». Italia ridestati!

Elena Giacometti

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