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Riforma e lingua italiana

7 settembre 2017

La mostra «La Parola e le parole. Riforma e italiano in Bregaglia» è allestita nella Galleria il Salice di Castasegna. L’inaugurazione è per sabato 9 settembre, alle ore 16.

In Val Bregaglia la Riforma arrivò da sud. Oltre alle nuove dottrine religiose, le decine di profughi religiosi italiani giunti in Bregaglia verso la metà del Cinquecento contribuirono a diffondere anche l’uso dell’italiano scritto e orale. Nel 500° anniversario della Riforma, la Pro Grigioni Italiano sezione Bregaglia ricorda in una mostra dal titolo «La Parola e le parole. Riforma e italiano in Bregaglia», allestita nella Galleria il Salice di Castasegna, l’influsso di lungo periodo sulla cultura di una valle sudalpina dei grandi dibattiti religiosi del XVI secolo. L’apertura della mostra è prevista per sabato 9 settembre alle ore 16.

«Mi parea che il volgare mi potesse servire in molto più occasioni, et di maggior utilità in quel che conviene all’officio mio, che è d’insegnare à popoli (già che così è piaciuto a Dio)», scriveva nel 1543 Pier Paolo Vergerio, già vescovo di Capodistria e di lì a qualche anno fra i principali promotori della Riforma nelle valli meridionali dei Grigioni.

Fin dalle sue origini, la Riforma aveva dato grande importanza all’uso della lingua del popolo. Quando a metà del Cinquecento un folto gruppo di esuli riformati italiani giunse nei territori delle Tre Leghe, fin da subito si dovette porre la questione linguistica. Quale lingua utilizzare per diffondere le nuove dottrine religiose?

Esercizi di scrittura su una pagina del "Catechismo, cioè breve sommario della fede" di Stefan Gabriel, in un’edizione del 1739 conservata alla Ciäsa Granda di Stampa.

In Val Bregaglia gli atti ufficiali all’epoca erano redatti generalmente in latino e in tedesco. La lingua parlata era il bregagliotto, affiancato presumibilmente dai dialetti alemannici e da varianti dei dialetti lombardi. Per i predicatori giunti da sud, in molti casi dall’Italia centro-meridionale, l’uso dei dialetti locali era escluso. Nei loro testi scritti, essi ricorsero all’italiano codificato da Pietro Bembo all’inizio del XVI secolo.

Ma come risolvere il problema della lingua orale? Molti indizi indicano che per comunicare a voce con i bregagliotti, gli esuli ricorressero allo stesso italiano che avevano adottato per i testi scritti. «In questo senso, la Bregaglia può essere considerata un laboratorio della comunicazione», osserva il linguista Sandro Bianconi, sulle cui tesi si basa la mostra della Pgi Bregaglia.

Attraverso libri antichi, registrazioni di prediche e orazioni cinquecentesche e seicentesche, testi e immagini, la mostra, curata dallo storico Andrea Tognina, documenta il legame secolare tra riforma religiosa e identità linguistica in Bregaglia. Un legame che è stato all’origine di un patrimonio culturale, e in particolare librario e documentale, unico nel suo genere.

La mostra rimarrà aperta fino al 20 ottobre 2017. Orari di apertura: martedì, giovedì e sabato ore 16-18 oppure su richiesta (pgi@bregaglia.ch).

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