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Pizzo Badile, parte terza

28 dicembre 2012

Erano gli anni delle spinte nazionaliste e si rischiava la vita per dare alla propria patria l’onore di aver conquistato una vetta. La Svizzera era però meno toccata da questo fenomeno – considerano con un pizzico di soddisfazione Arturo e Renata.

Si può ben capire come a ridosso della Seconda guerra mondiale, con i regimi totalitari in Europa, venisse esercitata una grande pressione a onorare la patria. E anche gli alpinisti erano toccati da questo clima e si avventuravano in imprese eroiche per mettere il marchio della propria nazione sulle montagne. Aggiunge Renata che per fortuna quello spirito è tramontato: «Anche la frase del Cai [Club alpino italiano - ndr] “la lotta con l’alpe” ora non esiste più». Se a quel clima sommiamo il fascino del Pizzo Badile, possiamo forse immaginare come l’attenzione di moltissimi alpinisti si concentrasse là, sulla bella e inaccessibile montagna della Bondasca.

Inaccessibile in realtà era la parete… infatti la vetta era già stata conquistata nel 1867, scalando da sud. Lo spigolo nord fu scalato la prima volta, in parte, dalla guida alpina grigione Christian Klucker, nel 1892. (Tanto per segnalare due momenti storici.) La parete invece cominciò ad essere presa in considerazione dagli anni Trenta del Novecento, a seguito dei miglioramenti nelle competenze e nell’attrezzatura.

Dopo il 1937, aggiunge Renata, molte altre vie furono aperte sulla parete nord-est, anche più difficili. Però – incalza Arturo – c’è stato un periodo che non facevano più la via Cassin. Ora invece – riprende Renata – c’è tanta gente che viene da fuori a farla. Una gran cosa fece Herman Buhl… E insieme raccontano con ammirazione la storia del grande alpinista austriaco Herman Buhl, che compié la prima solitaria lungo la via Cassin, nel 1952. Partito in bicicletta da Landeck, in Tirolo, salì poi al Rifugio Sciora, dove dormì. In 4 ore e mezzo raggiunse la vetta del Badile. Poi scese lungo lo spigolo nord, e tornò a casa sempre in bicicletta, nella stessa fine di settimana.


Hermann Buhl sulla vetta del Pizzo Badile dopo aver compiuto la prima salita solitaria della parete nord-est lungo la via Cassin


La prima solitaria invernale fu invece compiuta nel 2008 dalla guida alpina valtellinese Rossano Libera. Ricorda Renata che Libera aveva già fatto due tentativi: per due volte lei l’aveva accompagnato all’attacco, ma ogni volta lui aveva dovuto rinunciare a scalare a causa delle cattive condizioni atmosferiche.



E da Arturo arriva un’altra storia. «Franta Bauer era un grande amico. Giocava con le mie figlie. Un inverno era salito lungo la Memento Mori, e intendeva scendere lungo lo spigolo. Ma la neve, quando era in cima, aveva ceduto e lui era stato trascinato giù un pezzo ed era morto. Siamo andati a prenderlo con l’elicottero». Questa triste storia si aggancia a un fatto accaduto due anni dopo: «Piero Del Bondio mi voleva regalare un quadro del Badile… e guarda… ne aveva uno con una pennellata rossa che partiva proprio dal punto dove Franta era caduto… Ma Piero non sapeva nulla dell’incidente! All’inizio non ho voluto quel quadro, mi faceva troppa impressione, ma poi ci ho ripensato e gliel’ho richiesto….E adesso ce l’ho».

Ecco, Renata Rossi e Arturo Giovanoli hanno raccontato alcune delle loro storie che riguardano il Pizzo Badile e la via Cassin, che fu aperta 75 anni fa, quando loro non erano ancora nati. Storie vissute da loro o dai loro amici e compagni di alpinismo, o storie sentite e lette. Per loro il Badile non è una vetta lontana, è la montagna che si erge sopra le loro abitazioni, compagna di tutta la loro vita.

(fine)



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